Nuovi aggiornamento e sconcertanti ipotesi per quanto riguarda l’innovazione tecnologica. Futurism, società lanciata nel futuro, fa sapere come forse si dovrà ripensare all’intero sistema dello sviluppi di AI.
Si è sempre preso come esempio il cervello umano, ma se non fosse quello il vero modello?
Se il modello si nascondesse altrove, per esempio nella cellula, la parte più piccola dell’organismo umano, ma che costituisce tutto e che permette all’intero sistema di rimanere in connessione?

Novità per l’intelligenza artificiale

 La call to action in questo caso è allora quella di ragionare fuori dal cervello. Bisognerebbe quindi basarsi di più sul modello cellulare e non su quello cerebrale. Questo risulta sicuramente come un approccio innovativo per rimettere in gioco tutto quel che sappiamo e si è sviluppato fin ora. Basta pensare alle reti neurali artificiali.

Dietro questo nuovo pensiero c’è Ben Medlock che al di là del fatto che è il cofounder di SwiftKey, riesce ad avere una vita parallela dove introduce il machine learning nelle tastiere dei nostri smartphone, cercando di anticipare il pensiero e la digitazione umana.
Conduco questa specie di doppia vita – ha spiegato – il mio lavoro con SwiftKey riguarda come prendere l’AI e metterla in pratica. Ed è il mio lavoro principale”. Poi, dice Medlock, “ho passato un bel po’ di tempo a considerare le implicazioni filosofiche dello sviluppo dell’intelligenza artificiale. E l’intelligenza è un asset davvero molto, molto umano

 Aggiunge poi Medlock

Credo che il punto da cui partire sia la cellula eucariota”.

Si tratta del tipo cellulare più evoluto con un nucleo ben definito da una membrana nucleare e una serie di organuli citoplasmatici anch’essi racchiusi in una membrana o un reticolo di membrane: mitocondri, ribosomi, lisosomi, apparato di Golgi e reticolo endoplasmatico. Tutti gli organismi viventi, a esclusione dei batteri, ne sono costituiti: dalle alghe ai funghi, dalle piante agli animali, cioè gli organismi pluricellulari eterotrofi. Il punto, per l’imprenditore, è che dovremmo vedere l’intero corpo umano come una “macchina incredibile”.

 

 

Provando ad emulare intelligenza e abilità la quasi totalità di chi fa ricerca sull’intelligenza artificiale è appunto partita dal cervello, facendo delle tecnologie prodotte qualcosa di troppo preciso e ordinato. Medlock vede invece le “cellule come piccole macchine in grado di processare l’informazione con una certa dose di flessibilità – ha spiegato – e per giunta connesse fra loro, in grado cioè di comunicare col resto della popolazione cellulare”. Potremmo quasi dire che il corpo umano sia costituito da circa 37,2mila miliardi di queste portentose macchine miniaturizzate.

Questa convinzione viaggia parallela a un’altra. E cioè che ogni intelligenza artificiale messa a punto dagli esseri umani dovrebbe in qualche modo esistere nel mondo fisico: “Non credo che saremo in grado di crescere un’intelligenza che non abiti il mondo reale poiché la complessità del mondo reale è proprio ciò che genera l’intelligenza organica” ha spiegato. Una tesi estremamente interessante che in sostanza confessa una certa sfiducia nell’artificiosità assoluta e viaggia invece verso le applicazioni concrete come quelle, per esempio, pensate da Neuralink, la startup di Elon Musk che vuole farci tutti cyborg. O, per meglio dire, costruire un’interfaccia affidabile fra cervello e computer. Nello stesso tempo si ricollega a studi seminali come quello del biologo James Shapiro del 1992, in cui venne battezzato il concetto di “natural genetic engineering”. In buona sostanza, la perfezione del meccanismo di riproduzione cellulare, modificato progressivamente dalle medesime cellule per adattarsi ai cambiamenti delle condizioni date.

Una visione “radicale”, come l’hanno battezzata altre testate (fra cui Inverse). Un esercizio astratto, una provocazione che parte però dalla volontà di analizzare le qualità di cui un’autentica intelligenza artificiale dovrebbe godere: processare informazioni, mobilità e consapevolezza di sé. Fantascienza, forse, che però, come si spiegava all’inizio, muove dalla considerazione dell’intelligenza non come “l’abilità di giocare a scacchi o comprendere il linguaggio – ha aggiunto Medlock, polemizzando vagamente con i numerosi studi che si leggono ogni mese su questo argomento – ma più generalmente come la capacità di processare dati dall’ambiente e poi agire in quell’ambiente. La cellula è davvero l’inizio dell’intelligenza, di tutta l’intelligenza organica, ed è davvero una macchina che processa dati e informazioni”.